Come parlare a un parente complottista

Come affrontare qualcuno che ci è vicino ed è convinto di vedere complotti e cospirazioni ovunque? Il conflitto non è la soluzione

Massimo Polidoro
4 min readJan 23, 2021

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Demonstrators from conspiracy theorist group QAnon protesting in Los Angeles. Photo: AFP
Demonstrators from conspiracy theorist group QAnon protesting in Los Angeles, California, on Aug 22, 2020. PHOTO: AFP

Ricevo spesso richieste di consigli su come trattare con amici o parenti che hanno abbracciato qualche teoria del complotto o credono a qualche bufala. Quelli che: «Il Covid non esiste!», «La mascherina in realtà fa male», «Nel vaccino ci sono i microchip», «Trump ha vinto le elezioni» e via dicendo.

Lo dico subito, non è per niente facile, ma alzare la voce, mettersi a litigare, sbattere in faccia all’altro i dati scientifici o i fatti accertati è la strada sbagliata. Non solo non farà cambiare idea al complottista di turno, ma è probabile che rafforzerà le sue convinzioni. Non succede sempre, ma se il nostro interlocutore sente messe in discussione le idee che definiscono la sua visione del mondo e di se stesso, allora la resistenza sarà più decisa.

Ascoltare gli altri, sforzarsi di capire i punti di vista diversi, evitare gli attacchi ad personam, sono comportamenti razionali che tutti dovremmo intraprendere e che, invece, diventano difficilissimi quando ci si rinchiude nel proprio gruppo e si pensa di avere ogni ragione. Invece, fare lo sforzo di calarsi nei panni degli altri per capire come sono arrivati a credere certe cose potrebbe aiutarci a demolire il muro che ci separa e a costruire un ponte.

Non bisogna sminuire o deridere le convinzioni altrui, anche se possono sembrare assurde. Spesso le persone si lasciano convincere da una teoria del complotto perché le aiuta a superare l’ansia che provano di fronte a un mondo complesso. Oppure perché tale teoria conferma il risentimento, la rabbia o l’indignazione che le persone provano sull’ingiustizia che vedono e che c’è nel mondo.

Ne Il mondo sottosopra, ricordo che una buona idea per superare le divisioni è quella di lavorare insieme a obiettivi comuni. «L’integrazione dell’esercito americano nel 1948 è spesso citata come un significativo passo avanti nel movimento dei diritti civili» osserva lo psicologo Stuart Vyse.

«Gli obiettivi comuni dell’esercito sono ovvi, e disporre fianco a fianco soldati bianchi e neri rese la collaborazione interraziale una

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